NELLA SUA VITA INCONTRO’ UN AMICO: SAN FRANCESCO D’ASSISI
Nel lontano ‘89 su proposta di Padre Erasmo, allora assistente dell’OFS e nel desiderio di vivere momenti di “fraternità”, un gruppo di giovani dopo l’incontro francescano interobbedenziale che si svolse a Visciano il 25 Aprile, decisero di incontrarsi e di formarsi nella spiritualità francescana. Agli incontri, che si tenevano di domenica, si recitava anche il S. Rosario. Giuseppe, venuto a conoscenza di questa iniziativa, volle anch’egli far parte del gruppo e nel gruppo si distinse subito per le sue virtù. Generosissimo, era sempre attento a qualsiasi iniziativa intrapresa, con una grande disponibilità personale, di tempo ed economica. Tuttavia, il cammino di fede non fu per lui una scoperta: Giuseppe conobbe e si innamorò di San Francesco, abbracciando la sua Regola nel 1987. La allora Ministra dell’OFS accortasi della sua vocazione vera, in occasione del rinnovo del Consiglio locale del ‘87 e d’ accordo con l’ Assistente spirituale P. Erasmo Parente e con il Consiglio OFS decise di fargli professare la regola francescana con un paio di mesi di anticipo rispetto al tempo previsto dalle Costituzioni (infatti tra il rito di iniziazione e quello di professione doveva intercorrere almeno un anno), con lo scopo di poter candidare Giuseppe all’ imminente capitolo.
Giuseppe, quindi, fu chiamato da Dio a dare nuovo smalto alla fraternità, in quel tempo un po’ impigrita. Giuseppe, il cui solo nome è già tutto un programma, significa infatti “che Dio aggiunga”, fu Consigliere dell’OFS dal novembre del ‘87 all’aprile del ‘99. Vi era in lui il fervore nell’amare e nel vivere fedelmente tutti i precetti e le massime della Santa Regola.
Nel 1989 P. Erasmo Parente fu trasferito ad Orta d’Atella e per la fraternità OFS di Grumo furono anni difficili. Tuttavia Giuseppe non si lasciò mai coinvolgere nelle discussioni del Consiglio che degeneravano, a volte, in aspri litigi. Sempre seppe offrire una parola di pace conservando un sorriso ed una serenità interiore davvero serafica.
Si può dire di lui che fu mite di temperamento, non cercava mai la lite e se a volte risultava impulsivo si scusava con un’umiltà disarmante. Era un operatore di pace, offriva sempre una buona parola, proferiva spesso parole ispirate o semplicemente sagge. Sapeva ben consigliare coloro che erano nell’errore senza mai indisporli, anzi li guadagnava come amici, infatti le sue parole, dure ma mai aspre, avevano sempre un fine di benevolenza. Era caritatevole, praticava una carità sincera e nascosta. Donava spesso, donava volentieri, donava con gioia, sempre donava. Tutto quanto sapesse o sapesse fare lo metteva a disposizione degli altri. La sua gioia consisteva nel promuovere gli altri. Fece della sua vita una continua attenzione al prossimo; e del prossimo cercava di alleviare le ansie e le preoccupazioni. Generosissimo con gli amici e con gli sconosciuti, ancora più generoso con chi ne approfittava o lo maltrattava. Sempre del tutto sottomesso ai consacrati di Dio: i sacerdoti. Viveva cristianamente per amor di Dio e di San Francesco.
ATTENTO ALLA PAROLA DI DIO
Era un piacere vedere con quanta devozione ascoltava la Santa Messa. Serviva alla mensa eucaristica ogni giorno, al mattutino come ringraziamento al Signore per un nuovo giorno di vita.
Provava un grande interesse per le Sacre Scritture; lesse più volte e con grande attenzione la Bibbia dalla prima all’ultima pagina. Conosceva tutti gli episodi narrati nella Bibbia e amava citarli all’occorrenza come esempi per qualche buon consiglio da dare. E nel raccontare i diversi episodi riusciva a ricordarsi di molti dettagli come se quel brano l’avesse appena letto. Nel desiderio di migliorarsi partecipava sempre con grande interesse a molte catechesi.
I suoi libri di lettura erano libri di formazione spirituale o di agiografia. Oltre alla Bibbia leggeva volentieri i “fioretti di San Francesco” e “vita spirituale” (un libro di formazione francescana donatogli da un frate).
UOMO DI PREGHIERA SANTIFICAVA TUTTE LE FESTE INDICATE DALLA MADRE CHIESA
In occasione del suo onomastico, ad esempio, cercava di buon mattino qualche povero a cui potesse offrire dei dolci. Gioiva nel far partecipare gli “ultimi” alla sua festa perché riteneva la santificazione più importante dei vani festeggiamenti, fini a sé stessi . Riteneva buona cosa in occasione degli onomastici partecipare alla Santa Messa come prima buona azione del giorno; questa sua buona abitudine quante volte me le consigliata e sempre mi riservava rimproveri quando non partecipavo a qualche festività francescana come quella in onore di Santa Chiara o San Luigi Re patrono dell’OFS.
Zelante nella preghiera, ogni giorno recitava l’Ufficio secondo le indicazioni della Madre Chiesa: Lodi mattutine, Vespri e Compieta. Sceglieva un’intercessione proposta nell’ Ufficio e si impegnava a praticarla durante il giorno tenendola sempre a mente. Ad esempio se leggeva orazioni come: “Signore fammi essere gioia per i fratelli che incontro”, non si dava pace fino a quando non aveva aiutato una persona in difficoltà incontrata lungo il corso della giornata.
Soprattutto trascorreva molto tempo davanti a Gesù Eucaristia . Il Parroco Donn’Alfonso ricordò che si poteva incontrare facilmente Giuseppe nelle chiese assorto in adorazione davanti al Santissimo.
DEVOTO ALLA MADONNA
Devoto alla Madonna recitava il Santo Rosario ogni giorno, affidando a lei le sofferenze degli ammalati, delle persone sole, degli anziani. Ogni giorno recitava almeno un rosario in raccolta solitudine e si preoccupava che fosse recitato ogni giorno in Chiesa in maniera comunitaria. In mancanza di volontari lo conduceva lui stesso e quando vi era già qualcuno disponibile sapeva farsi da parte lasciando spazio con esemplare umiltà. Ricordo che nelle uscite domenicali per le giornate OFS, in macchina su sua iniziativa si recitava puntualmente il Santo Rosario. Nel mese di maggio non c’era evento che potesse dissuaderlo dalla partecipazione alla Santa Messa. Nel venerdì della settimana Santa digiunava tutto il giorno, in questa pratica si ripeteva anche il 14 agosto o il 7 dicembre; digiunava anche quando avendo più di sessant’anni era dispensato, secondo l’ordinamento della Chiesa, dal farlo.
Giuseppe un giorno mi raccontò che sempre ha alimentato un indicibile amore verso la Madonna espresso innanzitutto con la preghiera anche sul luogo di lavoro. Infatti dipendente dell’Upim lavorava ai servizi di smistamento dell’azienda e durante il servizio trovava sempre il tempo di sgranare un coroncina senza interrompere il lavoro.
Era il 13 agosto del 2002 quando Giuseppe non essendo mai stato alla casa della terziaria Santa Maria Francesca dalle cinque piaghe decise di recarsi. Giuseppe era stato dimesso da poche settimane dall’ospedale, era provato nel corpo da una terribile malattia e versava in uno stato di debolezza fisica. In quella mattina fresca di agosto ci recammo alla casa della Santa. Era con noi anche il terziario Raffaele. Dopo la visita Raffaele espresse il desiderio di recitare il Santo Rosario; ci disponemmo, quindi, in prossimità delle spoglie della Santa e Giuseppe condusse la recitazione. Grano dopo grano parteciparono sempre più persone; a metà del Rosario circa una dozzina di persone, pregavano con noi, tra cui alcuni signori. Giuseppe recitò con una grande fede attirando un gran numero di fedeli che dopo la recitazione lo andarono a ringraziare per come aveva guidato il Santo Rosario: “stamattina posso dire di aver recitato il Rosario” disse una donna; altri si compiacevano con altre parole, altri ancora lo salutarono stringendogli la mano. Giuseppe sofferente chiese allora di pregare per lui. Tutti si commossero. Sulla strada del ritorno Giuseppe raccomandò di non parlare a nessuno di quanto accaduto.
SERVI’ LUNGHI ANNI NELLA CASA DEL SIGNORE
“Quando andrò in pensione me ne starò tutto il giorno qui in Chiesa, nelle Casa del Signore” disse un giorno Giuseppe e per molti anni o meglio per tutto il tempo del pensionamento, fino alla fine dei suoi giorni, ha prestato servizio gratuito come custode della Chiesa avendo premura ad aprire la casa del Signore ai fedeli alle ore 6,30 del mattino; la chiudeva alle ore 8,30 dopo la celebrazione della S. Messa mattutina; già la riapriva di pomeriggio alle ore 17,00 e la richiudeva alle ore 20,00 dopo la S. Messa vespertina. Tuttavia era già in Chiesa dalle 15.00 per le sue quotidiane preghiere in un rapporto con il Signore del tutto personale. Esercitava questo servizio con impegno e puntualità, nonostante ci fossero i frati in convento. Serviva all’altare durante la celebrazione, promuoveva preghiere negli spazi di tempo vuoti, preparava tutto l’ occorrente in occasioni di matrimoni o funerali, puliva con una squadra di terziari periodicamente la Chiesa. Tutto questo era un impegno personale preso con il Signore per 365 giorni all’anno e non conosceva, quindi, giorno di riposo. Tutto questo fu una sua libera scelta eppure a Giuseppe rincresceva chiedere qualche permesso straordinario ai frati, anche di solo un’ora. A volte apriva la Chiesa anche alle 16,30 per permettere ad alcuni passanti abituali di fermarsi in Chiesa per qualche preghiera; alcuni frati accorgendosi di questo ritennero di abituare diversamente i fedeli e finirono per imporgli orari di apertura più inoltrati; Giuseppe obbediva ma di giorno in giorno anticipava sempre più di alcuni minuti l’apertura; “permetto alle persone di pregare il Signore -diceva- e guadagno indulgenze”. E’ da ricordare che Giuseppe già da tempo sofferente, la sera del 4 gennaio del 2003, fu contagiato da influenza con febbre alta. Non volendo rinunciare, alla Santa Messa dell’Epifania del Signore si trascinò in chiesa per diversi giorni, incurante e rischiando di compromettere seriamente il suo stato di salute . Giuseppe su insistenza dei familiari la sera del 5 gennaio misurò la febbre e subito dopo scaricò il termometro che segnava una temperatura corporea equivalente a “febbre alta” dicendo a sua moglie “vedi! Non ho febbre”. Così riprese gioioso i suoi impegni in chiesa. Giuseppe dopo la partecipazione alla Santa Messa restò ancora in Chiesa a preparare l’occorrente per la Messa successiva, e solo quando fu tutto in ordine tornò a casa. La marachella fu scoperta e Giuseppe alle ingiurie di familiari ed amici rispondeva “Quando il Signore decide di chiamarmi lo fa anche se me ne sto a letto”.
Il 3 novembre 2004 Giuseppe era agli sgoccioli ed era consapevole di non poter vivere ancora a lungo. La moglie informata dall’oncologo di non aver più di un mese di vita tentò di dissuaderlo da ogni sforzo come da quello di andare a servire in chiesa ogni giorno e Giuseppe rispose: “fino a quando avrò un filo di forza vorrò sempre servire il Signore”.
Alcune persone chiesero al parroco nel giorno della sua dipartita – da oggi per vedere Giuseppe dobbiamo andare al cimitero? – e il parroco rispose “Andate in chiesa e là troverete Giuseppe, lo vedrete in ogni angolo della chiesa”. La chiesa infatti era la sua casa.
TANTA ERA LA STIMA VERSO I FRATI E VERSO TUTTI I RELIGIOSI
Era tanta la stima verso i frati che li serviva personalmente ognuno nelle proprie esigenze. Era una vera e propria venerazione: dovunque ne incontrava uno, lo salutava baciandogli la mano perché consacrata. Esercizio di fede e di amore verso colui che, pur nella sua fragile realtà umana, impersonava Gesù per noi.
A P. Andrea che soffriva di colesterolo, non faceva mai mancare la verdura. Spesso lo visitò durante la sua lunga degenza all’infermeria dei Frati di La Palma a Napoli.
A fra Mariano che a causa della sua malattia sempre più spesso si recava all’infermeria di La Palma, lo accompagnava e lo prelevava alla fine di ogni ricovero. “Basta farmi una telefonata – diceva Giuseppe– e se non ci sono, lasciate detto a mia moglie”. E quando fra Mariano si trovava a La Palma e desiderava qualcosa si rivolgeva direttamente a Giuseppe; lo chiamava anche per desideri meno urgenti ma Giuseppe non vagliava l’importanza delle cose richieste, obbediva prontamente e senza ripensamenti condividendo le esigenze e i desideri dei più deboli.
Un altro frate di “Terrasanta” lo cercava spesso per piccoli lavoretti come, ad esempio, migliorare l’impianto di illuminazione ma anche per lavori pesanti come traslocare i mobili da un piano all’altro, da una celletta all’altra. Giuseppe acquistava di tasca sua il materiale per le riparazioni senza affatto esigere il rimborso delle spese. Spesso accompagnò il frate, per la diffusione degli oggetti votivi di Terrasanta, con molta disponibilità di tempo. Il frate lo ricompensava, a volte, con statuine votive e corone che Giuseppe distribuiva volentieri.
A P. Mario che soffriva di osteoporosi, offrì uno stimolatore per alleviare i dolori. Comprò, infatti, il kit e lo montò personalmente.
Un sacerdote durante gli esercizi spirituali di Roccamonfina chiese a Giuseppe cosa ne pensasse a proposito di un altro sacerdote dagli atteggiamenti spesso arroganti e spregiudicati. “Non si può parlare in bene -disse- ma é un sacerdote e non voglio giudicarlo”. Quando sentiva la gente lamentarsi del comportamento dei frati, Giuseppe non si lasciava coinvolgere se non per intervenire a favore dei religiosi dicendo: “Ricordatevi di Davide che ebbe diverse possibilità di vendicarsi di suo fratello Saul ma non lo fece mai perché Saul era un consacrato di Dio”. Altre volte ricordava che San Francesco sostenne che se si fossero presentati un angelo ed un sacerdote avrebbe onorato inginocchiandosi, prima il sacerdote e poi l’angelo.
Si recava spesso dalle Clarisse di Napoli facendo loro qualche offerta e quando si ammalò non potendo più recarsi versava soldi sul loro conto corrente.
Diede ai figli un’educazione religiosa: portava il figlio Elpidio ancora piccolo agli incontri di catechesi per le famiglie. Desiderò molto che un figlio fosse votato alla vita sacerdotale e osservando che la figlia Milena adolescente trascorreva molto tempo volentieri in Chiesa, un giorno le chiese se volesse intraprendere il cammino di suora.
SEMPRE GENEROSO VERSO GLI ULTIMI, NELLO SPECIFICO VERSO GLI EXTRACOMUNITARI
In un giorno di pioggia era fermo in Piazza San Pasquale quando vide camminare un ragazzo di colore senza ombrello e a capo scoperto; non esitò a donargli il suo ombrello, trovandosi a sua volta sotto la pioggia nell’incamminarsi verso casa.
Quando fui incaricato dal Consiglio locale OFS di formare la Gioventù francescana seguii un corso con frequenza quindicinale per animatori Gi.Fra. che si tenne al convento di Sant’Angelo in Palco a Nola. Giuseppe decise di accompagnarmi tutte le volte. Partecipava volentieri a tutti gli incontri ove si parlasse di S. Francesco e della spiritualità francescana. Per questi incontri, che si tennero al Convento di Sant’Angelo a Nola, espresse il desiderio di accompagnarmi con la sua automobile; accompagnare gli altri era per lui una ricercata forma di servizio. Durante queste uscite che si tennero nelle fredde mattinate dei mesi di gennaio e febbraio incontravamo spesso extracomunitari a vendere fazzoletti, intirizziti dal freddo, sulla strada chiamata “circonvallazione esterna”. A Giuseppe toccò il cuore vederli così infreddoliti nelle gelide domeniche invernali a vendere fazzolettini presso i semafori. Decise di offrire loro qualcosa, qualcosa di caldo, ad esempio. Così agli incontri successivi portammo con noi, in un termos, del latte caldo e incontrando gli extracomunitari ai vari semafori ne offrivamo un bicchiere che loro gradivano volentieri.
Giuseppe seppe che Marcello, un africano, aveva problemi con lo scaldabagno di casa. Si recò allora a Sant’Antimo ove abitava, per un sopralluogo, ma si accorse di una situazione pericolosa: trovò la vasca da bagno piena d’acqua con dentro la resistenza elettrica che Marcello aveva estratto dallo scaldabagno e con la spina di questo ancora inserita nella corrente. Marcello aveva un lavoro, perché non era ricorse all’acquisto di uno scaldabagno? Forse per pigrizia o semplicemente per mancanza di tempo. Giuseppe non si pose troppe domande, subito si adoperò, si recò a comprare uno scaldino da 50 litri e lo montò senza pretendere una lira né del costo dello scaldabagno né della manodopera. Giuseppe non aveva mai incontrato Marcello prima di allora.
A Francis prestò £ 50.000. Passò molto tempo e Giuseppe chiese la restituzione ma quando si accorse della difficoltà economica di Francis, rinunciò. Il fratello di Francis, circa cinquantenne di fisico esile, venne in Italia in cerca di lavoro; ma passavano giorni dopo giorni senza trovarne alcuno. Sapeva fare il saldatore ma non c’erano officine che lo assumessero. Giuseppe che da giovane era stato saldatore ebbe compassione ed espresse il desiderio di mettere su un’ officina solo per dare lavoro al fratello di Francis.
Anicet un beninese giunse giovanissimo a Grumo in cerca di lavoro. Siccome trascorse un periodo di disoccupazione Giuseppe gli regalava di tanto in tanto qualche diecimila lire ogni volta che lo vedeva triste e desolato o pensieroso sulla piazza. Con Anicet mi incontrai alcuni anni dopo a Brescia e notai che conservava ancora vivo un buon ricordo di Giuseppe, infatti disse: “Dove puoi incontrare ancora una persona così!”
Ad un altro africano che entrò in chiesa in una fredda giornata d’inverno per sedersi nei banchi in cerca di conforto o semplicemente per pregare, Giuseppe donò il giubbino che in quel momento indossava.
Tanta e tale fu la solidarietà praticata agli extracomunitari che si diffuse notizia della sua bontà che spesso gli si avvicinavano africani a lui sconosciuti. “Sei tu Giuseppe?” gli chiedevano e lo invitavano ad andare a casa per qualche riparazione tecnica relativa all’impianto elettrico o idrico o altro.
Un giorno mi accompagnò al Provveditorato di Caserta e ad un semaforo si avvicinò alla nostra auto un mendicante chiedendo l’elemosina. Giuseppe in un primo momento si avviò noncurante, ma dopo poche decine di metri si pentì e fermandosi mi porse dei soldi ordinandomi di darli al mendicante.
Accadde, alcuni anni fa che durante le festività natalizie alcuni membri della fraternità erano molto presi dalle diverse attività terziarie; si presentò, allora, un mendicante in cerca di qualcosa da mangiare, tutti ne avvertirono la presenza ma presi dal gran da fare ignorarono il caso. Tuttavia la condizione implorevole del mendicante non sfuggì a Giuseppe che nel massimo silenzio andò a casa preparò due pezzi di pane ben farciti di melanzane sott’olio e glieli offrì; il mendicate li mangiò sul posto con gusto.
E’ inutile dire che partecipava a tutte le iniziative di solidarietà. Ad esempio quando la fraternità di Grumo Nevano si attivò per l’adozione diretta nel periodo estivo dei ragazzi ucraini dell’area di Cernobyl, Giuseppe fu tra i primi a prenotarsi per adottare una bambina che una volta a casa di Giuseppe, fu trattata con tutti i riguardi nonostante non fosse povera o affetta da radiazioni come i responsabili dell’associazione avevano annunciato.
Venuto a sapere di una zingara che non aveva di che coprirsi di notte volle che la moglie donasse la coperta che era sul loro letto. Non riuscendo poi a consegnargliela la lasciò nella sede della fraternità e mi raccomandò, poco prima di morire, di donarla a qualcuno davvero bisognoso.
MANIFESTAVA UN AMORE PREMUROSO PER GLI ANZIANI
Giuseppe era tra i promotori delle visite che un gruppo di terziari e simpatizzanti effettuava agli anziani. Durante queste visite si conversava con l’ammalato, poi si pregava o si leggeva qualche pagina di un buon libro o della Bibbia, o ancora si animava con un canto di chiesa. Queste iniziative avvenivano in media una volta a settimana; a volte si lasciava trascorrere più tempo. Ma a Giuseppe non bastava e quando tale iniziativa venne a scemare Giuseppe si accordò con un’altra terziaria e insieme visitavano gli ammalati ogni giorno. Questo avvenne per più di un anno, fino a quando la signora per impegni familiari rinunciò.
Fino agli anni ‘90 annesso al Convento e gestito dai Frati vi era un gerontocomio. Giuseppe spesso visitava gli anziani sovvenendo alle loro esigenze, li aiutava nella pulizia personale, offriva loro un sorriso, una parola di conforto, riparava rubinetti gocciolanti o realizzava semplici impianti elettrici o semplicemente recitava con i vecchi una preghiera. Restando gli anziani per un certo periodo senza cuoco alcuni terziari tra cui Giuseppe si prodigavano provvedendo loro stessi con le rispettive consorti al pranzo domenicale.
Nell’Ordine francescano si formò un gruppo di volontari che visitavano i terziari e i parrocchiani infermi e sofferenti. Giuseppe faceva parte di questo gruppo con grande assiduità e zelo. Incoraggiò l’iniziativa fino a diventarne il promotore. Le inferme gradivano la nostra visita e sempre più chiedevano una maggiore presenza. Una terziaria non vedente ed inferma, si rallegrava talmente della nostra presenza che tra le varie benedizioni da lei pronunciate diceva: “San Francesco vi ripaghi per quello che mi fate” e ancora “ quando morirò verrete alle mie esequie ed io alzandomi dalla bara dirò: questi sono i miei fratelli: i terziari di San Francesco”. Successivamente quando l’impegno della custodia della Chiesa lo assorbì maggiormente, non potendo rispettare gli orari del gruppo, Giuseppe si recava a casa degli ammalati individualmente risultando nel tempo e nella frequenza più zelante e proficuo del gruppo stesso preposto.
Ad una anziana paralitica Giuseppe ingegnò un piccolo impianto con citofono volante, quindi a portata di mano della signora in modo tale da consentirle di aprire chi bussava senza compiere ampi movimenti. Quando la signora ebbe un calo d’udito, Giuseppe pensò di dotare l’impianto di un dispositivo luminoso che si accendesse al suono del campanello. Poi Giuseppe si ammalò progressivamente senza poter realizzare l’impianto.
Per un lungo periodo non fu consentito ai terziari di organizzare liberamente incontri e di decidere la destinazione della raccolta di soldi. Il meglio dei nostri incontri avvenivano con visite alle persone inferme ed ai terziari ammalati. Il 16 febbraio 97 Giuseppe trovò nella propria cassetta postale una lettera che ancora conservo, scritta su un foglio di quaderno a quadretti, in un italiano stentato che così recitava: “carissimi, chi vi scrive questa lettera è un missionario paralitico che vive a Casandrino, in una piccola casetta con suo nipote. Vi ho scritto questa lettera per dirvi quanto sono commosso per tutte le opere di bene che fate a tutti i vostri fratelli. Continuate a fare queste opere perchè solo la vostra presenza per una persona ammalata è un’ opera grandissima. Vi starete sicuramente chiedendo come faccio a sapere che fate queste opere. Adesso vi spiego: Un giorno mio nipote che stava in piazza S. Pasquale sentì che due persone anziane si organizzavano dicendo di andare a trovare una signora inferma, poi ancora dissero che si riunivano ogni settimana per organizzare opere. Ho dimenticato di dirvi, che mi chiamo Rughens Riù e vengo dal Portogallo e a causa della mia malattia sono rimasto qui in Italia con mio nipote. Questa lettera è stata dettata da me e scritta e tradotta da mio nipote. Infine voglio augurarvi i miei più sinceri auguri e una grandissima fortuna per le vostre opere. Crescete e moltiplicatevi. Affettuosi saluti da Rughens Riù. Perdonaci se questa lettera non è stata battuta a macchina”.
ANDAVA INCONTRO ALLE NECESSITA’ E AI DESIDERI DI TUTTI
Giuseppe si intendeva di idraulica, elettricità, meccanica e non vi era giorno che non stesse a riparare scaldabagni, cucine, televisori, lampade e impianti vari dei terziari, dei frati, dei conoscenti e di ognuno che lo chiedesse.
Una volta Giuseppe fu interpellato da alcune persone per delle riparazioni, altre persone che non avevano un rapporto amichevole con le prime tentarono di persuaderlo a non recarsi; Giuseppe senza replicare ma non curante dei cattivi consigli, il giorno dopo si recò in tutta serenità in quella casa per le esigenze richieste. Giuseppe non discriminava secondo oculati giudizi, come noi siamo abituati a fare, ma tutti riteneva figli di Dio che nella difficoltà meritavano di essere aiutati. Giuseppe fu davvero un uomo libero.
Un giorno, un giovane terziario, parlando del più e del meno espresse il desiderio di assaporare la zuppa di rane. La madre del giovane, infatti, non amava cucinare questa pietanza. Giuseppe alla prima occasione comprò un fagotto di rane e le portò a casa del giovane perché la madre le cucinasse.
Due fanciulle intrapresero un cammino vocazionale sotto guida spirituale dei frati ed alloggiavano al convento di Grumo. Anche per le due aspiranti vennero tempi difficili e dovendo provvedere in maniera autonoma al proprio sostentamento finirono per trovarsi in difficoltà. Giuseppe non appena lo seppe non solo si fece promotore di raccolte di generi alimentari a loro favore ma incaricò la moglie a fare una congrua provvista di alimenti ogni sabato e poi all’insaputa di tutti comprava personalmente di tasca propria altri alimenti che offriva ancora alle ragazze.
Sempre è intervenuto in casa mia per riparazioni di rubinetti, impianti elettrici, apparecchi domestici e varie senza mai accettare una ricompensa di qualsiasi genere. Dovendo trasferirmi a Brescia per lavoro insieme alla mia mamma, Giuseppe si preoccupò di prelevare la pensione e di custodircela, di aerare la casa periodicamente, di recarsi dal medico per le ordinarie medicine che servivano alla mamma. Riceveva la nostra posta e provvedeva a spedirci documenti importati e tutto questo lo faceva con molta dedizione e voglia di aiutarci.
Nel tentativo di risolvere la mia condizione lavorativa di docente precario che si protrasse per lunghi anni, in un pellegrinaggio ad Assisi offrì l’olio santo a San Francesco per un intero anno. Mi sono sempre rivolto a lui nei momenti difficili della mia vita: lo chiamai quando sanguinante in seguito ad un brutto incidente automobilistico fui portato all’ospedale di Nola e lui fu il primo a sopraggiungere; anche in occasione della morte di mio zio frate fu molto presente: mia madre lo chiamò quando alla triste notizia del decesso, con urgenza dovette farsi accompagnare da Grumo a Marigliano ed in quel periodo si era già ripetuto spesso in questo servizio.
Fu caritatevole anche con i poveri che non incontrava. Un giorno mi diede alcune decine di mille lire ordinandomi di fare la carità a quanti poveri avrei incontrato quel giorno per le strade di Napoli.
All’età di 71 anni, già sofferente, ancora ardeva in lui la vena caritatevole: si informò delle famiglie bisognose del nostro territorio e in tutto segreto offriva a queste famiglie, di tanto in tanto, una scorta di generi alimentari di prima necessità
Verso un fratello terziario che aveva perso il posto di lavoro Giuseppe si rese disponibile per un eventuale aiuto economico
Tra i suoi molteplici servigi in chiesa, Giuseppe ordinava i messalini secondo la successione cronologica delle domeniche. Tuttavia si ricordava sempre di mettere da parte una copia per ogni domenica per riservarla ad un mio zio con problemi di udito. Lo zio che si recava in una chiesa non provvista del servizio della distribuzione dei messalini, ebbe, grazie a Giuseppe, la possibilità di seguire senza problemi lo svolgimento della Santa Messa.
I DOVERI VERSO LA FAMIGLIA
Giuseppe ha ottemperato a tutti i suoi doveri di padre e di marito, ha amato tutti i suoi familiari, tenendoli si in gran considerazione ma senza mai essere invadente nelle loro vita e nelle loro scelte. Pregava molto per loro e per le loro necessità con intense preghiere fatte con il cuore.
Giuseppe, fratello maggiore di Alfonso e di Mimma, curava le buone relazioni con tutti i familiari, riteneva un dovere, ad esempio, andare a trovare almeno una volta a settimana i suoi fratelli; infatti, di domenica, dopo i doveri in Chiesa si recava prima a casa del fratello Alfonso a Sant’ Arpino, poi dalla sorella Mimma ad Orta d’Atella. Una visita breve e cordiale durante la quale si sincerava dello stato di salute di tutti. Si interessava molto anche dei nipoti.
SOLLECITAVA TUTTE LE INIZIATIVE PER LA CHIESA E PER L’ORDINE FRANCESCANO SECOLARE
Fu molto perseverante alle adunanze francescane. Non si può affatto dire che abbia fatto il francescano con un “contratto stagionale”, come tanti terziari che si sono lasciati infervorare per qualche tempo abbracciando la regola e poi hanno abbandonato la fraternità al primo ostacolo dimentichi di ogni promessa fatta nella professione. Soffriva per la fraternità O.F.S. ma la difendeva a spada tratta perché la riteneva il dono utile di San Francesco per la santità di noi laici.
Giuseppe durante il tempo che militò come consigliere, assolvendo alle mansioni di economo, contribuì ad un maggior dialogo della fraternità con il Centro regionale, partecipando a tutti gli incontri esterni. E dell’intero consiglio che guidò la fraternità dal novembre 1988 al marzo 1999 solo due consiglieri acquisirono questa coscienza adulta e responsabile, tanto da affiancare la allora Ministra Rachele Palumbo nell’andare di domenica, spesso anche per l’intera giornata, ai diversi incontri provinciali.
Durante le processioni, Giuseppe era premuroso nel portare lo stendardo francescano lungo tutto il tragitto dando testimonianza della presenza OFS, ma sempre lo faceva come servizio e mai per esibizione.
Non appagato dagli incontri di fraternità e ancora desideroso di opere di carità, a settanta anni, oramai affetto da un male inguaribile, si propose di organizzare sistematicamente una raccolta di soldi per comprare alimenti e sfamare i poveri del territorio.
Nell’ultimo anno della sua vita, Giuseppe sentì forte il desiderio di adottare un bambino africano e si fece promotore tra i fratelli dell’Ordine Francescano Secolare di una colletta per la quale lui primeggiava nelle offerte. Credeva nella fraternità e continuava a credere anche nei momenti più difficili, quando i rapporti tra i membri della fraternità e tra questi ed il Padre spirituale di turno divenivano tesi. Al termine del suo mandato come consigliere, il nuovo Consiglio appena insediatosi gli fece omaggio di una pergamena stampata su cartoncino che così recitava: “Grazie Giuseppe. Il Signore si ricordi di te che segui le orme del Serafico Padre Francesco. Ti dia forza perché tu possa continuare a lavorare in fraternità ancora a lungo. Ti doni la gioia come ricompensa per quanto hai reso. E noi tutti, al termine del tuo mandato, abbiamo da dirti grazie perché sei stato per tutti un esempio di autentica umiltà”. Pochi giorni prima di morire disse: “Mi dispiace andarmene senza vedere la fraternità con i problemi risolti al suo interno”. Ha sempre sognato una fraternità unita ed operosa e per questo pregava molto.
Desiderava sempre recarsi in pellegrinaggio sulla tomba di San Francesco ad Assisi. Nel luglio del ‘90 partecipò esilarante alla marcia francescana verso Assisi. Durante la marcia si distinse per l’impegno nel servizio e nella preghiera, affrontò i molti chilometri al giorno di marcia, eppure con i suoi 57 anni era il più anziano tra i partecipanti.
In uno degli ultimi pellegrinaggi ad Assisi mentre il gruppo visitava i vari monumenti, Giuseppe se ne stette tutto il tempo a pregare prima alla Porziuncola, poi sulla tomba del Santo. Al Capitolo spirituale del novembre 2004 Giuseppe mancò all’appuntamento perché già sofferente e debilitato a letto. Pensammo una volta giunti sul posto di farlo partecipare solo per qualche minuto ed in qualche modo alla spiritualità santa di quei luoghi. Ci avvicinammo, dunque, il più possibile alla tomba di San Francesco, fino al limite di una zona coperta da linea telefonica che coincideva con l’ingresso della Chiesa di San Francesco. Aprimmo con lui una comunicazione telefonica senza parole volgendo il telefonino verso l’interno della chiesa e restammo qualche minuto in collegamento, facendogli gustare la flagranza del silenzio del luogo presso la tomba del santo.
Nella notte successiva alla sua dipartita si presentò in sogno a Teresa dicendogli di tenere vivo il laboratorio artigianale francescano, dove lui aveva lavorato fino a qualche giorno prima di mettersi a letto definitivamente, e di fare con i soldi raccolti molta carità.
STIMATO DA TUTTI
In occasione dell’agonia di mio zio Frate, trovandomi a Brescia per lavoro, Giuseppe si rese disponibile ad accompagnare mia madre da Grumo a Marigliano, quasi tutti i giorni accollandosi impegni ad impegni. Mia madre raccontò che lo zio Frate stremato nelle forze, scarnito fino alle ossa, senza un filo di voce, immobile nel letto riusciva a muoveva solo gli occhi, ma non quando vedeva Giuseppe; raccoglieva, infatti, tutte le forze per salutarlo alzandosi quanto più poteva con il busto e porgendogli la mano. Un movimento che doveva costargli fatica e dolore. Mio zio frate aveva infatti molta stima di Giuseppe.
Una signora nel vedere Giuseppe, dimesso dopo l’intervento, per strada così deperito scoppiò in un forte pianto; un’altra signora nel vederlo lo chiamò baldanzosa, scoppiò di gioia e gli disse: “ durante la vostra permanenza in ospedale ho pianto tutti i giorni”.
Il parroco della Chiesa madre di Grumo, Donn’ Alfonso ogni volta che incontrava Giuseppe si fermava, l’osservava qualche istante e poi esclamava a gran voce “Che anima bella!”.
Tutti noi lo chiamavamo affettuosamente “zio Peppe”. E la terziaria Gina aggiungeva: “Voi siete lo zio preferito”. E quando mi rammaricavo perché mi ritenevo vittima di false amicizie, mia madre mi ripeteva: “Non ti vuoi rassegnare che il mondo è così! Non vuoi capire che di Giuseppe Del Prete ce n’è uno solo”. Quando dovevo presentare il gruppo ad una persona nuova mi piaceva presentare Giuseppe e la moglie Maria, che tra l’altro erano i più anziani, come “Giuseppe e Maria della fraternità”.
LA SUA MALATTIA
Nell’ aprile 2002 compiva 40 anni di matrimonio. I familiari prepararono questa ricorrenza con tutti i riti ed i festeggiamenti del caso. Giuseppe avrebbe voluto, però, una celebrazione sobria come umile ringraziamento al Signore per la buona salute di cui aveva goduto, per tanti anni, insieme con la moglie.
Un mese dopo, però, Giuseppe si ammalò e il periodo della sua sofferenza corporale costituisce un nuovo ed esemplare capitolo.
Quando venni a sapere della sua malattia mi recai in ospedale dove Giuseppe era stato portato ed operato d’urganza. Era domenica mattina del 5 maggio 2002, passando davanti alla cappellina dell’ ospedale mi accorsi che si celebrava Messa. Entrai per prendervi parte, vi erano alcuni parenti degli ammalati e tra questi scorsi Giuseppe, l’unico tra i pazienti a partecipare alla Santa Messa. Non volle rinunciare, infatti, alla partecipazione della celebrazione nemmeno in uno stato di degenza o per dir meglio di sofferenza. Era lì sulla sedia a rotelle, si era spinto da solo, con le sacche sanitarie e i tubi che pendevano dal ventre. Partecipò alla funzione con le mani giunte, pregava dentro di sé con una evidente fede. Osservarlo era un vero piacere .
Subì tre interventi all’intestino. Il male si manifestò improvvisamente e con grande impeto. Giuseppe che non aveva mai subito interventi o ricoveri di una certa rilevanza si trovò improvvisamente tra medici e bisturi. Gli chiesi con quale stato d’animo avesse affrontato l’intervento: “Inizialmente mi sono molto preoccupato, poi nelle mie preghiere mi sono abbandonato totalmente nelle mani della Madonna. Da quel momento ho affrontato tutto con serenità” mi rispose.
Ricordo che un giorno discutevo preoccupato con i suoi familiari della sua malattia, con tanta premura circa la sua cura. Giuseppe intervenne nei nostri discorsi dicendo: “diceva Giobbe: -se da Dio accettiamo il bene perché non dobbiamo accettare il male?-”.
Antonio, genero di Giuseppe, che lo assistette per una notte in ospedale dopo uno degli interventi, notò che soffriva, soffriva tanto ma senza lamentarsi. Giuseppe mi confidò che a seguito dell’operazione aveva tentato di resistere al dolore rinunciando alle siringhe antidolorifiche per rendere offerta al Signore.
Giuseppe qualche giorno prima di recarsi in ospedale, quando forse non immaginava nemmeno quanto dovesse tribolare non volle venir meno a nessun impegno preso, andò quindi, già sofferente, dal mio medico di famiglia per procurarmi i medicinali da somministrare a mia madre come io gli avevo chiesto. Dimesso dopo il primo intervento avendo ancora la sacca con il catetere riprese a recarsi periodicamente alla mia abitazione per aerarla.
Durante la terapia in ospedale tutti i medici impararono a conoscerlo e gli esprimevano una singolare benevolenza; Giuseppe ricambiava regalando di tanto in tanto il libro dei Fioretti o statuine di S. Francesco.
Nel giugno 2004 subì un nuovo intervento, all’ospedale “Loreto a Mare” a Napoli. Nei giorni prima dell’intervento, Giuseppe dava conforto agli altri ammalati aiutandoli a spostarsi, ad alzarsi e in tutte le loro necessità. “Lui mi sta facendo da fratello!” esclamò un paziente. Di domenica recandosi in cappella per partecipare alla Santa Messa Giuseppe non dimenticava mai di invitare gli altri ammalati sebbene sapeva di ricevere continui rifiuti. Una volta i familiari recandosi in ospedale lo trovarono felice e tutto preso a tintennare una campanella per tutte le stanze del reparto annunciando la celebrazione della Messa ed invitando ammalati e familiari come gli aveva ordinato il sacerdote.
SIA FATTA LA VOLONTA’ DI DIO
Nel 1990, circa, Giuseppe disse: “Quanti anni il Signore mi concederà ancora da vivere? tre, forse quattro. Avrei un solo desiderio: vedere i miei quattro figli sistemati con il lavoro e sposati. In quel tempo solo la figlia Rosaria era sposata; Elpidio aveva trovato l’impiego di lavoro definitivo ma era solo fidanzato; i due figli più piccoli non erano fidanzati, ne avevano alcun lavoro. Giuseppe non è vissuto tre e nemmeno quattro anni da allora, ma molti di più. Tuttavia, l’ultimo a sposarsi fu Gaetano nel dicembre del 2001 e chissà …… forse proprio in quei mesi contrasse una forma tumorale all’intestino che si manifestò nella primavera successiva, ovvero dopo aver visto l’ultimo figlio sposato, proprio come aveva desiderato.
SI PREPARO’ AD UNA BUONA MORTE
Giuseppe si preparò, infine, ad una buona morte; da cristiano convinto e convinto della pratica della povertà espresse il desiderio di essere seppellito e ricoperto solo da un cumulo di terra e da una croce.
Nel settembre 2002 comprò settanta Tau e li consegnò alla moglie affinchè li distribuisse in chiesa in occasione della sua morte, in sostituzione delle preci con la sua foto.
Capì da subito che non aveva ancora molto da vivere, ma nonostante trascorresse buona parte della giornata a letto si preoccupò di non venire meno alle promesse fatte. Inviò, ad esempio, una busta di caramelle più cinque euro ad un bambino orfano al quale il padre era morto giovanissimo in un incidente. Mi raccomandò di provvedere ad un regalo da consegnare in occasione del Natale, per gli oncologi che lo avevano curato come per ringraziarli per i loro sforzi: “ricordati di portarglieli per Natale, anche se io me ne sarò già andato” mi disse.
Andai per fargli visita e lui mi disse: “sei venuto per dire parole inutili?. Meglio se recitiamo i vespri”
Negli ultimi giorni mi annunciò l’imminente dipartita ed io replicai: “il giorno in cui il Signore vi chiamerà non avrete niente da temere. State sereno”, e lui con pace serafica mi rispose: “Sono sereno, vedi so di dover morire ma non mi scompongo affatto”.
Il giorno mercoledì 1 dicembre mentre ero accanto al suo letto, mi chiese di aggiornargli il breviario: “non riesco più a trovare il tempo di Avvento” osservò ancora. Il giorno 4 dicembre lo andai a visitare ancora una volta , lo trovai che tremolante alle mani, depositava il breviario senza essere riuscito a recitare le lodi: “non riesco più a leggere, né a sostenere il breviario”. Recitai io a voce alta le lodi e lui mettendosi in raccoglimento ascoltava ed in cuor suo pregava con molta dedizione.
Sabato 9 dicembre P. Massimo si recò da Giuseppe per la Santa Comunione promettendogli l’Unzione degli infermi giovedì 16. “Prima P. Massimo. Giovedì 16 sarà troppo tardi” rispose Giuseppe. Parole che si rivelarono profetiche.
Il 14 dicembre ripeteva le preghiere che recitavo al capezzale del suo letto. Il 15 dicembre ancora voleva pregare ma non ripeteva più perché diceva di non riuscire a sentirmi. Fu sufficientemente cosciente però per comunicarsi ancora una volta.
Sul letto di morte la terziaria Carmela si ricordò di poggiare lo scapolare terziario sul petto di Giuseppe. Fu un gesto dovuto perché era in lui vivo il senso di appartenenza alla fraternità dell’ Ordine Francescano Secolare.
Sul libro delle firme che viene posto all’uscio della chiesa durante il rito funebre, qualcuno ha scritto: “verrà ricordato per la sua disponibilità, altruismo, e fratellanza”
“L’ANIMA DEI GIUSTI E’ NELLE MANI DI DIO”
Giuseppe Del Prete, nato a Sant’Arpino il 28 maggio dell’anno del Signore 1933 è morto il 16 dicembre dell’anno del Signore 2004 nella casa di Grumo Nevano, ove risiedeva, tra l’affetto ed il conforto di familiari, amici e sacerdoti.
Giuseppe è andato al Signore lasciandoci nel dolore per la sua dipartita ma lasciando a tutti:
- un esempio di vita cristiana, nello specifico francescano, da seguire
- la speranza per la vita eterna
- la certezza che al cospetto di Dio continuerà a pregare ed ad aiutare ognuno di noi.
Ora grazie a lui i nostri nomi e le nostre azioni, sono ampiamente vagliate dal Signore, perché quando una persona cara e santa muore, porta con sé tutto ciò che ha condiviso con noi: i dialoghi, l’affetto, le esperienze della nostra vita di tutti i giorni ovvero porta con sé una parte di noi per porgerla a Dio. Dunque una parte di noi è già presso Dio ed in Dio dimora, in questo caso, insieme a Giuseppe.
E noi ci impegnedremo affinchè la memoria di Giuseppe viva, viva ancora in ciascuno di noi e soprattutto viva il suo esempio. Un esempio di vita francescana.
Perdonami Giuseppe. Esprimevi il tuo dissenso ogni volta che ti accennavo di raccogliere, un giorno, le tue buone azioni in uno scritto. Ho sentito, però, di farlo come senso di gratitudine anche a nome di tutti quelli che incontrandoti hanno ricevuto del bene da te e come dovere verso i tuoi familiari e verso tutte le persone che ti hanno stimato. Grazie!
Grazie Signore per avercelo donato.
Carmelo Menna