Goccia S. Antimo: echi dall'evento "KHAIL GIBRAN - Il canto dell’anima"
Sono ormai tre anni che la sede santantimese di “Gocce di Fraternità”, APS, promuove eventi a carattere letterario sia in loco, a Sant’Antimo, sia nei comuni limitrofi. Si ricordano a riguardo: le “Serate Dantesche” presso il cafè Mozzillo di Casapozzano tenute dalla prof.ssa Vittoria Caso dell’Associazione “Clarae Musae”; l’incontro-riflessione sul tema de “La sobrietà nella poesia di Giovanni Pascoli”, con le eccellenti relazioni della Prof.ssa Caso e dell’emerito Dirigente Scolastico, Prof. Francesco Iorio; la lectio magistralis del prof. Giuseppe Limone della Seconda Università degli Studi di Napoli, su “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupery.
Ma qual è l’obiettivo di questi eventi? Noi soci tutti dell’ Ass. riteniamo che attraverso la rilettura di opere letterarie, si possa risvegliare la nostra coscienza sopita, riflettere sul senso della vita e diventare più umani e solidali. E’ un obiettivo questo veramente importante, se solo si pensa a come siamo quotidianamente bombardati dai mille messaggi dei social, della Tv, di Internet e di conseguenza non si dà più spazio a relazioni umane vere. E di fatto oggi le persone preferiscono comunicare tra loro più virtualmente che non da vicino, in carne ed ossa…. Una tendenza questa che induce alla solitudine, a chiudersi in se’ stessi, a rinunciare alla prossimità con l’altro….
La letteratura può essere uno strumento utile per uscire da questa empasse, soprattutto se in eventi come i nostri sovra indicati, si rileggono e si riattualizzano quelle opere nelle quali son ben espressi ed evidenziati i temi dell’esistenza umana. Ecco dunque l’evento; “Kahil Gibran. Il canto dell’anima”! Perché scegliere proprio questo autore ? Gibran è stato un accanito ricercatore del senso della vita. La sua formazione cristiano-maronita ha senza dubbio influito molto sul suo pensiero e l’aver abbandonato il Libano, sua terra natia, per emigrare negli Stati Uniti a New York con la sua famiglia, provoca in lui un grande vuoto nostalgico e la volontà di colmare questo vuoto. Inizialmente, Gibran non riesce a trovare un punto di unione tra la sua cultura di origine e quella occidentale ed americana. Poi, questa unione avviene perfettamente, in quanto Gibran stesso nelle sue opere, in particolare nel suo capolavoro “Il Profeta”, giunge ad una sorta di sincretismo religioso che unisce Oriente ed Occidente, attraverso insegnamenti e principi etici universali, validi in ogni tempo e in ogni luogo. Nei discorsi de Il Profeta infatti si mescolano magistralmente la mistica orientale e il pensiero biblico cristiano dando così avvio a un’intensa riflessione spirituale legata alla quotidianità che si esprime al di là dei dogmi religiosi.
La lezione di Gibran è quanto mai attuale nel nostro mondo dominato ormai dall’indifferenza, dalle guerre religiose o di dominio, da continue emigrazioni di massa, di individui che desiderano migliorare le proprie condizioni di vita fuggendo da contesti dove persistono dittature, fame, miseria ed oppressioni.
L’evento è stato presentato sabato 20 gennaio 2024 alle ore 17.30 nell’elegante salone del Circolo delle Forze Armate “Antimo Polito” di Sant’Antimo per gentile concessione del Direttivo e del suo presidente, il Comandante di Marina in quiescenza, Pietro Piccirillo. Diversi gli ospiti e le associazioni presenti (Nastro d’Argento e la Pro Loco di Sant’Antimo, l’ass. Sophia di Sant’Arpino, l’associazione ACIPEA di Atripalda (AV).
Tra le associazioni presenti ringraziamenti dovuti vanno all’associazione “Sophia” di Sant’Arpino, la quale ha collaborato con “Gocce di Fraternità” nella promozione dell’evento su Gibran. In particolare, si ringrazia la prof.ssa, Enrica Romano, poetessa e scrittrice, che vi ha partecipato insieme ad una rappresentanza di suoi concittadini santarpinesi. Ma un grazie speciale va alla Prof.ssa Nada Skaff, docente di lingua francese, libanese di origine, anche lei poetessa e scrittrice, per la sua disponibilità, per i numerosi consigli, il suo entusiasmo e la sua preziosa collaborazione.
La prof.ssa Skaff ha aperto i lavori con un’introduzione generale sull’autore Kahil Gibran, ripercorrendone le tappe essenziali della vita e della formazione culturale ricevuta prima a Boston in America e poi a Beirut in Libano, con riferimento ai suoi scritti e alle sue opere pittoriche, alcune delle quali esposte in bella mostra nel salone del Circolo.
In effetti, l’intera opera del libanese Kahlil Gibran può essere letta al pari di un testo sacro, come un breviario laico. I ventisei testi contenuti nel libro Il Profeta testamento spirituale di Gibran pubblicato nel 1923, sono dei brevi saggi scritti sotto forma di poesia che ci illuminano sulla varietà di temi, dubbi e domande che costellano l’esistenza.
Da “Il Profeta” sono stati selezionati quattro estratti, per esattezza quattro letture-testi che esprimono delle verità oggettive, sempre vive ed attuali : l’amicizia, l’amore, il matrimonio e i figli effettivamente segnano le tappe importanti della nostra vita. Quello dell’amicizia, come ha ben commentato la prof.ssa Stefania Spiezia, prima lettrice all’evento, è un sentimento prezioso e bellissimo, ma la sua definizione non sempre è facile. La definizione di “rapporto tra pari” è quella che solitamente è riportata nei vocabolari. In sintesi, il punto cruciale è come riconoscere e distinguere la vera amicizia dalle amicizie minori o conoscenze, nelle quali ci imbattiamo lungo il nostro percorso di vita. Ne Il Profeta, lo abbiamo ascoltato, Gibran dice che “lui ( cioè l’amico) può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto” Quindi, chi è l’amico se non un dono ? Una persona che completa e ti fa star bene ? L’amico non è affatto un tappa buchi e quindi l’amicizia non può essere compresa da chi sente l’esigenza di avere amici solo quando è solo. Gibran ci invita a riflettere sulla sincerità, sulla fiducia e sulla lealtà che caratterizzano un’amicizia davvero profonda. Le sue frasi sull’amicizia trasmettono, dunque, un messaggio di amore, di comprensione reciproca e di accettazione incondizionata, ispirandoci a valorizzare e coltivare quelle amicizie più preziose e che maggiormente ci arricchiscono.
Riguardo all’amore è intervenuta la prof.ssa Enrica Romano, citando dal testo di Gibran la frase: “Il vero amore non è né fisico, né romantico”. Con il suo stile essenziale e asciutto, Khalil Gibran smentisce subito l’idea romantica che abbiamo dell’amore vero.
Del resto, lo apprendiamo tutti a nostre spese, che l’attrazione fisica e il romanticismo sono attributi spesso destinati ad affievolirsi in un legame affettivo. Possiamo tentare di tenere vive queste due componenti in un rapporto, ma nulla resta com’è e, soprattutto, esse non sono sinonimo di amore vero. “Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è”. Cioè è lineare, diretto. Il concetto di amore che vuole veicolare Khalil Gibran attraverso il suo pensiero, è molto più pragmatico e, se ci pensiamo, anche molto più sensato. Amare significa accettare la vita e la sua essenza, accogliere ciò che accade e trattare noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda con tenerezza. Perché il “vero amore” è un concetto che va sensibilmente oltre all’idea di un sentimento da relegare alla coppia. Khalil Gibran esprime la forza di un sentimento molto più potente, in grado di muovere le sorti del mondo e di renderci felici davvero. La nostra felicità che non può dipendere dagli altri e dagli accadimenti esterni, ma può nascere solo dall’interno, dalla nostra capacità di “danzare nella pioggia”.
Nel passo sul matrimonio, letto sia in italiano, sia in lingua araba dalla prof.ssa Nada Skaff, attraverso la voce del suo protagonista Almustafà, Gibran espone la propria visione dell’unione di coppia. La risposta del profeta è, ancora una volta, articolata e complessa e dà adito a una riflessione inattesa. Gibran infatti non ci parla dell’unione amorosa ma di tutt’altro: rivendica, nell’unione, la necessità di preservare l’identità personale per evitare di cadere nell’abisso più rischioso, ovvero l’annullamento nell’altro. Con saggezza Gibran invita gli esseri umani a non commettere l’errore di proiettare nell’altro le proprie aspirazioni, i propri bisogni e necessità fino a farne un pallido riflesso di se stessi. L’Altro - osserva il Profeta - è al mondo per completarci, e non per divenire la nostra copia. Per questo l’autore si premura di ricordare che “l’unità risiede nella distinzione.” Perché solo attraverso il contatto con il diverso da noi possiamo conservare e definire la nostra identità individuale che è unica, per definizione, e si realizza attraverso il contrasto.
Il messaggio finale di Kahlil Gibran è un invito a un’unione che non sia possesso, né appropriazione dell’altro. Il matrimonio, dice il poeta, non deve essere un laccio che tiene l’altro membro della coppia legato come in una prigione. Perché questo avvenga è importante che entrambe le parti rivendichino la propria solitudine: nella corretta distanza, il saggio poeta libanese vede l’equilibrio necessario perché la coppia sopravviva con tenacia alle avversità.
Non è quindi nella fusione reciproca che Gibran vede il significato dell’unione matrimoniale, ma nella corretta ed equilibrata distanza, come dimostra la metafora conclusiva delle due colonne che insieme sorreggono il tempio.
Per l’ultima lettura interviene la prof.ssa Grazia Della Rocca.” I vostri figli non sono figli vostri” è la frase che apre il testo sui figli. L’intero componimento è basato su un costrutto peculiare di ipotesi-negazione che riflette un procedimento quasi filosofico. Gibran conduce il lettore nel ragionamento sino a farlo approdare alla sua verità.
Il messaggio si articola tramite la frequente ripetizione di concetti scandito da ripetute anafore (es. “potete” ripetuto tre volte). Gibran si serve di tutti gli espedienti dell’ars retorica inanellando il suo ragionamento con una serie di subordinate causali.
Gli ultimi versi sono poi una lunga metafora attraverso la quale Gibran rende manifesto il suo pensiero. Il poeta-profeta si serve dell’immagine dell’arciere che scocca la freccia per rappresentare la volontà di Dio: l’uomo non è che un arco tra le mani del Creatore, che si piega docilmente alla sua volontà, e i figli sono le frecce che vengono scoccate nel mondo.
Ogni figlio che viene messo al mondo ha il suo proprio scopo e una precisa traiettoria da seguire, ma la definizione di questo percorso non spetta al genitore, ma alla forza della vita stessa. I figli potranno essere dunque accuditi, educati e indirizzati, ma poi spetterà a loro compiere la propria strada. Vengono scagliati come frecce e sono sospinti dalla forza della vita che non segue nessuna direzione prestabilita.
Nel suo profondo messaggio Gibran sottolinea il valore dei figli come atto d’amore nei confronti dell’esistenza. Nelle parole di Gibran si può cogliere un significato liberatorio e, al contempo, un invito ad abbandonarsi alla certezza di un disegno più grande che - come la natura insegna - non dipende da noi, esseri umani, che pure spesso ci crediamo onnipotenti.
Antimo Petito, coordinatore di Goccia Sant’Antimo
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